Contrada Pietro Mazzetti

          Cenni storici a cura del Centro Studi dell'Università della Malgascia, in collaborazione

                            con il Circolo Gozzanese del "BUON RICORDO"


Contrada Pietro Mazzetti, vivace arteria del paese che congiunge tra loro, le due importanti vie, Regina Villa e Sottoborghetto, brulicanti di popolo intento ai propri commerci e traffici.

Detta contrada andava famosa soprattutto per il piccolo ma efficientissimo aeroporto a vocazione militar-turistica, già operante prima del secondo conflitto mondiale (anni quaranta) ed operante per almeno sei lustri e dove, è detto con orgoglio più che legittimo, non si è mai lamentato né lo smarrimento di un bagaglio, né un'ora di sciopero del personale sia di volo che di terra, quivi impiegato.

In questo aeroporto al normale traffico di passeggeri e merci, giungevano importanti dispacci diplomatici e militari assieme alla posta comune che venivano immediatamente recapitati ai mandatari, come pure i bigliettini per semplici risposte tra gli indigeni residenti, a mezzo di un accurato servizio svolto dalle hostess di terra che sulla loro divisa, accanto al lago della com-pagnia di appartenenza, recavano la scritta : " Bene e presto par da bon. Consegnato par Avion!"


Per il cambio di numerose rotte (ma proprio rotte) turistiche, e per la chiusura delle installazioni militari del territorio, l'aeroporto cessò la sua attività ed a seguito della completa demolizione dei suoi edifici e delle sue piste, sorse sulla sua area un importante mega parcheggio.


La contrada Pietro Mazzetti per molte cose ma soprattutto per gli approvvigionamenti alimentari, era completamente autonoma • ed autosufficiente, di fatto, poteva contare su due importanti macellerie bovine poste alle sue estremità, su una macelleria equina centrale, su una latteria , su un panificio con annessa vendita di tutti i prodotti alimentari. Era pure ben servita da due notissime Osterie - Trattorie, dai simpatici e ben auguranti appellativi di : "Osteria delle Rose" ed "Osteria Primavera", chiamate dai residenti più semplicemente , "Ustaria dal Maza "ed "Ustaria dal Lisandrin".

Con tutto ciò premesso, i residenti potevano ben interpretare il famoso adagio di Gozzano che testualmente recitava:

                         "Va ben lavràa, ma vuruma inca beva, mangiaa e scarnasciaa!"


  “Un palmo sotto l’ombelico”


Sabato sera cena in strada organizzata dalla contrada Mazzetti, con la presenza anche di qualche scenografia del nostro film.

Vi regaliamo queste parole di Francesco Ruga scritte per l'occasione.


A un palmo al di sotto dell’ombelico, c’è dunque il nostro paese che si spinge con le sue propaggini nelle acque di Buccione, la conca più solatìa e panoramica del lago.

Il centro del borgo sta al di sopra della riva ed è spalmato intorno al colle del Castello. Spalmato proprio come la crema di cioccolato e le abitazioni del centro storico si inseguono disordinatamente lungo tortuose viuzze, una volta lastricate con il granito delle cave di Alzo.

Le case stanno addossate l’una all’altra, simili alle pecorelle che disordinatamente s’aggruppano in cerca di protezione e calore stando il più vicino possibile al pastore.

E il Castello, lassù, pare proprio il buon vecchio ed esperto “Gelindo” del presepio, il pastore di vedetta che veglia e osserva il gregge intorno a sè.

Questo borgo è stato, almeno fino a tempo fa, una calda comunità di individui: una fiaccola formata da tanti lumi che hanno reso chiaro il cammino sul sentiero del futuro. Ognuno, nel suo piccolo e senza rendersene conto, ha messo a disposizione il proprio lume, alimentandolo col silenzioso ma costante impegno.

Ci piace che la Contrada Mazzetti stasera sia diventata l’ombelico del nostro paese, che è a un palmo sotto l’ombelico.

Come canta Celentano, invece ci dispiace per gli altri che sono tristi perché, fin da piccoli, forse non si sono accorti che proprio appena un palmo sotto l’ombelico sta la felicità e, per tutta la vita, hanno continuato a cercarla chissà dove, senza neppure essere passati dalla via Mazzetti, magari a bere un goccio dal Lisandrin o all’Osteria delle Rose, oppure a prendere un gelato dal Carletto o a fare una chiacchierata con l’Anna Parénta.

E, ancora con Celentano, ci dispiace per gli altri che sono tristi perché continuano a equivocare e a discutere sull’ombelico guardando in basso anziché in alto; per loro - lo sappiamo! - il piacere è un peccato ma qualche volta il peccato è un piacere (e in questo vanno perdonati).

Interpretando al meglio quanto tramandato dai saggi nomadi del pentagramma, ossia: Ma che film la vita, tutta una tirata, storia infinita, a ritmo serrato da stare senza fiato.

Ma che film la vita, tutta una sorpresa, attore e spettatore, tra gioia e dolore, tra il buio ed il colore, la Contrada Mazzetti stasera si è messa in scena per dare un po’ di colore alla sceneggiatura quotidiana, a dimostrazione che c’è ancora vita nel paese a un palmo sotto l’ombelico.

Cenni storici di Gozzano

Alégar, dicevano i nostri nonni quando si incontravano; e alégar lo erano spesso, anche perché il vino collaborava a renderli di buonumore. Il vino, in effetti, è sempre stato di gradimento per i gozzanesi, abituati a coltivarlo sulle colline intorno al borgo. Ancora nel 1945 si contavano trenta osterie tra il centro e la periferia: segno che la gente amava la compagnia ma, soprattutto,  che le vie del paese erano vive, frequentate e chiassose, al contrario di oggi. Parte del vino smerciato era di leggera gradazione  o di tipo americano (mericön), con un gusto e sapori particolari. Nella nostra Contrada Mazzetti, leggendarie sono state l’Osteria della Rosa di Ruga Giuliano fu Giuseppe e la Trattoria Primavera di Testori Alessandro di Graziano.

C’era poi la briùsca, un’osteria momentanea, aperta da un privato che aveva prodotto vino in esuberanza, da vendere fino ad esaurimento. Con vint ghèi, si poteva gustare un gradevole litro accompagnato da formaggino e salamìn d’la duja.  Dopo tale rifornimento, il ritorno a casa era un po’ arduo. Tra il fumo dei sigari (scigàli o nàpula), qualche imprecazione, urla, canzoni, il tabacco masticato (e sputato!), il gioco delle carte e, dove era possibile, delle bocce, i malgascitt consumavano le giornate di riposo e i pochi soldi rimasti.

Nella nostra  Gozzano del passato, il Roggione divideva la parte superiore, il Piemùnt, da quella inferiore, la Bassa Calabria. Il Mincio (così nell’Ottocento era definito il Roggione) separava due modi di essere del paese: in alto, i butéghi, i palazzi signorili e nobiliari; in basso, le lòbie, gli edifici di legno e pietra, coperture di paglia, fienili e dignitosa povertà.

Ancora fino allo scoppio della Grande Guerra, si rinnovava la tradizione del pranzo dei morti, il penultimo lunedì di Carnevale, in ricordo dei caduti di un’epoca lontanissima e del successivo e definitivo accordo tra le due fazioni nemiche. Era l’occasione per rivivere in chiave carnevalesca quei fatti, rievocando lo storico patto di pacificazione. Proprio nella nostra Contrada, in una corte convertita in salone da ballo, il comitato della parte bassa dava il via a una festa con pranzo a base di mortadella e polenta. Gli abitanti della parte alta, travestiti da invasori, osavano oltrepassare il confine del Roggione  per partecipare al pranzo e ballare con le formose ragazze del quartiere ‘occupato’. Il giorno seguente, gli ‘assaliti’ a loro volta occupavano la piazza principale del quartiere alto, dove un gustoso polentone era stato preparato dagli ‘assalitori’.  La pace tra ‘guelfi’ e ‘ghibellini’ veniva infine suggellata da canti e dalla via crucis di tutte le osterie e locali pubblici del paese.

Nel primo dopoguerra, memorabili furono le occasioni di divertimento, come ad esempio, a marzo, nell’affollata Trattoria Primavera, l’attesissima veglia ‘calcistica’ allietata dall’orchestra Poletti. Formidabili le compagnie: l’Accademia del Ponte Oriallo, con sede nella Trattoria Giardino, (Patak) ; i Topi grigi guidati dal simpatico Bruno Testori; la Menalì Menalù, con sede in via per Orta;  la ‘mitica’ Fil da Fèr. Per non parlare poi delle bande dei ragazzotti  ( ad esempio, la Pro Villa, la Pro Cazüla) che si contendevano la supremazia del paese, con furibonde battaglie a colpi di castagne d’India. Ogni quartiere, insomma, aveva il suo gruppo, la propria vitalità e caratteristica. Erano i tempi in cui tutti si conoscevano per soprannome e le porte di casa rimanevano aperte senza timore giorno e notte: un mondo improntato alla semplicità, alla voglia di stare insieme e un modo per sentirsi veramente  alégar.        

                                                                                                     il prof

 

                              CONTRADA Pietro  Mazzetti


"Pietro Mazzetti" : chi era costui?, avrebbe sicuramente esclamato il 'nostro' don Abbondio

se si fosse trovato a passare per la via e avesse letto tale nome.


Ahimè, anche per la quasi totalità dei concittadini di Gozzano il personaggio a cui è dedicata

la strada dice poco o nulla.

Eppure il cognome è proprio (anzi: era) del luogo e del 'ceppo', come lo sono quelli di via

Giuliano Ruga (Turascia) e di via Angela Allesina (Cazula).


Nei primi anni del secolo scorso, con grande riconoscenza e intelligenza, la

cittadinanza dedicò alcune vie ai tre benefattori Allesina, Mazzetti e Ruga.

Grande fu infatti il loro contributo in donazioni e lasciti all'erigendo Ospedale di Gozzano.


La via Pietro Mazzetti, in precedenza l'antica strada dei

Cocciotti, per i nostri nonni e bisnonni era la strada delle

vecchie scuole, dell'osteria del Lisandrin, e la sede del Club Topi Grigi


Per tornare a Pietro Mazzetti, basterebbe uno sguardo attento

all'interno della nostra Basilica per 'scovare' una lapide da lui

fatta collocare il 7 gennaio 1875, per ricordare il 15°

centenario di San Giuliano, celebrato il 15 agosto 1871.

Nell'iscrizione, il Mazzetti voleva testimoniare ai nipoti e alle

future generazioni lo zelo per il patrono locale. Sembra quasi

un monito affinché si continui a perpetuare questa tradizione e

devozione anche in futuro.

Nel 1876, il nostro Pietro Mazzetti, benestante e assai munifico,

fece domanda per l'erezione di un arco sulla via che portava

verso la Basilica. Alta sua morte, avvenuta il 31 dicembre 1883,

Pietro Mazzetti lasciò gli stabili in suo possesso alla

Congregazione di carità; tra queste donazioni, anche la casa

situata in via al Vescovado. La Congregazione aveva come scopo

precipuo l'erogazione di beneficenze lasciate generalmente a

favore dei poveri. Nel suo testamento, tra l'altro, si legge che la

"Congregazione di carità sia tenuta in perpetuo alla

manutenzione conveniente dell'Arco da me fatto costruire

sulla via al Castello".

 

1967   I Coscritti del 47